giovedì 30 dicembre 2010

La vita io la coloro coi pennarelli
Quelli Carioca, come i bambini.
Però quello nero ormai è scarico
Ho cancellato troppi nomi
E adesso non posso tirare una riga anche sul tuo
Allora ti coloro di azzurro,
Così ti confondi con il cielo e non ti vedo più
Io invece mi coloro di giallo
Così mi metto in risalto,
Almeno sul foglio
E sembro più importante di te.
Adesso tu sei azzurro cielo
E io sono giallo limone
L'azzurro e il giallo mischiati fanno il verde
Che è il mio colore preferito
Non ci avevo mai pensato.

lunedì 27 dicembre 2010

Bianca

Bianca guarda il mare. Tutti i giorni siede su una panchina davanti al molo, accende una sigaretta, poi un’altra, poi un’altra ancora e rimette insieme i pezzi della sua vita, quasi fosse un puzzle, quasi fosse ancora bambina.
Bianca guarda il mare e, ogni volta, al mare, pone mille domande, in attesa di risposte che l’immensa e afasica distesa d’acqua non le ha mai dato.
La città intanto continua la sua vita frenetica, come un grande animale che non va mai in letargo, con le sue luci, i suoi rumori, i suoi odori di polvere e smog. La gente corre veloce sul marciapiedi e, di volta in volta, si sofferma per qualche istante ad osservare Bianca, come fosse un’aliena, perché lei non corre come loro, lei non va da nessuna parte, resta seduta sulla sua panchina davanti al molo e lascia che il resto del mondo le scorra intorno.
A Bianca non piace la gente, perché le persone sono come la punteggiatura e lei le regole della punteggiatura non le ha mai capite, un po’ come nelle relazioni, non sa mai quando mettere una virgola, i puntini di sospensione o un punto fermo. Per Bianca le persone sono solo dei punti di domanda.
Di amici Bianca ne ha pochi, di più non ne vuole, che ogni rapporto umano non fa altro che creare problemi e, prima o poi, bussa alla porta con in mano un martello e rompe quel poco che è rimasto intatto di noi in pezzetti ancora più piccoli. Bianca non ha tempo di raccoglierli tutti.
Bianca nel mare ci si vorrebbe buttare. Chiuderebbe gli occhi e lascerebbe che le onde la trasportassero tra le braccia di Lui. Lui che è lontano, che il mare non lo guarda mai, che non guarda neanche gli occhi di Bianca. Lei intanto piange, piange ogni notte, piange tanto da pensare che il mare che guarda tutti i giorni sia fatto dalle sue lacrime. Bianca ha il mare negli occhi.
Bianca non è il suo vero nome, bianca è la sua pelle, bianca è la sua anima. Un nome Bianca ce l’ha, gliel’hanno dato i suoi genitori vent’anni fa, però lei non lo ricorda più. Ora è solo Bianca. Lui invece è nero, come i suoi occhi, come i vestiti che indossa. Il bianco e il nero quando si abbracciano creano un’armonia perfetta, fin quando il nero inizia a prevalere e, pian piano, il bianco scompare. Bianca scompare. Lo fa tutte le volte che Lo abbraccia.
Bianca guarda il mare e vorrebbe scappare, volare via sulle ali di un gabbiano, bianco anche lui. Vorrebbe volare lontano dalla città, da tutte quelle persone che corrono, lontano anche da Lui. Si perderebbe nel cielo e da lì guarderebbe ancora una volta il mare, poi, dolcemente, planerebbe su una distesa d’erba, in un posto sconosciuto, che sappia di dolce e di nuovo, dove non ci sia il mare.
Bianca guarda il mare e ridisegna la sua vita, che le sta stretta da troppo tempo, forse da sempre. A volte vorrebbe assomigliare almeno un po’ alla gente che corre sul marciapiede, per sentirsi più leggera, per sentirsi parte di qualcosa. Bianca non si sente parte di niente, nemmeno di se stessa.
Bianca guarda il mare e spera che qualcuno un giorno le si avvicini, le tenda una mano e la porti via con sé. Bianca guarda il mare e si sente sola, si sente sola anche quando il mare non lo guarda, anche quando è in mezzo alla gente. Bianca la solitudine ce l’ha dentro di sé.
Bianca guarda il mare, l’ha guardato per talmente tanto tempo che ormai il mare è diventato parte di lei. Bianca ha il mare dentro, che la distrugge, la corrode dall’interno. Bianca non ce la fa più, è stanca, a vent’anni si sente troppo vecchia per vivere.
Bianca si alza dalla panchina, cammina lentamente, non torna a casa come tutte le altre sere. Bianca una casa non ce l’ha più. Il passo è lento e regolare. Bianca cammina verso il mare e dentro di esso, lentamente, si lascia scivolare.
Bianca il mare non lo guarda più.

mercoledì 24 novembre 2010

Sono poesie atomiche
Queste nostre promesse ermetiche
Che ci scambiamo come spiccioli
Io e te su letti di polvere.
Invento i giorni come musiche,
Come nuvole. Scrivo i passi nella sabbia.
I pensieri nella noia
Come squali che nuotano in cielo
Li lascio affogare.
Posso proteggerti dai miei sogni?
Dalle speranze che fanno male
Dai desideri che stracciano il cuore.
Siamo carne io e te
I sentimenti lasciamoli ai cani
Che si inseguono più di noi.

lunedì 22 novembre 2010

Forse dovrei imparare a dimenticarmi di te, che tanto di me non ti ricordi già più. Così forse un giorno ci ritroveremo su una spiaggia d’inverno, come Joel e Clementine. E allora chi sa che bello sarà.

martedì 16 novembre 2010


Corro sui fili dell’alta tensione
Come un gabbiano stanco,
E’ da te che scappo.
Anche le lacrime pesanti si smarriranno,
Non troveranno più la strada.
E l’aria soffocante di questa città morirà con te
Morirà nelle mie vene.
Il respiro si perderà nella pioggia,
Tra i miei ricordi, tra le parole e le frasi mai dette,
Quelle lasciate a metà
Come i libri che non leggerò mai
Come le poesie che ti dedico tutti i giorni.
Siamo caduti a terra io e te
Come vetri rotti, ci siamo confusi
Ci siamo incontrati e mischiati
E’ stato un attimo
E’ stata una vita,
Che adesso prosegue
Spezzata e mutilata
Per cento anni e forse più
Senza te
Senza noi.

domenica 7 novembre 2010

Poesie in prosa: ovvero pensieri a caso e deliri notturni, ovvero la mia vita in 944 parole.


Possiamo passare le nostre giornate a fissare palchi vuoti, senza sfiorarci mai le mani, senza toccarci mai i cuori, che tanto siamo come due sconosciuti che non hanno niente da dirsi, ma tutto da perdere.

E io ormai la televisione la guardo solo per cercare qualcuno che ti somigli, anche se oggi i tg parlano solo di omicidi, ma io non mi lamento, che tanto il mio è un po’ un suicidio e io nell’autodistruzione ci ho sempre creduto. Tu invece la televisione non la guardi proprio e non guardi neanche i miei occhi, anche se sai di che colore sono, me l’hai detto tu una volta e il colore degli occhi non cambia con i mesi, anche se la gente se lo dimentica.

Intanto è già novembre, che è tale uguale a luglio, quando speravo arrivasse settembre. Settembre che quest’anno è stato solo una farsa, un po’ come i 18 anni. Entrambi sono totalmente inutili e non ne sentirò la mancanza.

E poi c’è questa città che si chiama Novara e poi c’è ancora quell’altra città che si chiama Milano. Che poi sono diverse l’una dall’altra solo per il nome e poco altro, quasi come noi due. Io sono Novara, credo, tu Milano, perché tu il grigio che hai dentro lo nascondi meglio di me, che invece sono grigia anche fuori e per questo do nell’occhio anche quando non voglio. Solo per te sono invisibile, sarà perché mi mimetizzo con il tuo di grigio.

Chi sa se lei è grigia come noi, o è bianca, o è dorata e brilla anche di notte, anche quando sei ubriaco ed è per questo che l’hai notata? Magari d’oro è solo rivestita e poi si sfoglia e sotto è nera o persino marrone, che per analogia non è un bel colore.

Tu scegli pure il tuo colore di ragazza preferito, come i gusti del gelato, che intanto io decido se sto meglio adesso che ci sei, ma è come se non ci fossi o prima quando non c’eri proprio. E devo andare un attimo in bagno a piangere, che l’omino della ripetizione casuale che sta dentro il mio ipod mi odia, o forse sta solo cercando di dirmi qualcosa e ha scelto come prima traccia la tua canzone preferita. Tu però di’ a tutti che mi sto incipriando il naso, che tanto con le bugie ormai ci convivo e mia mamma mi crede affetta da congiuntivite cronica perché mi sveglio sempre con gli occhi gonfi e invece è solo colpa dei miei condotti lacrimali che son dotati di libero arbitrio e iniziano a far piovere lacrime che san di sale ogni volta che vogliono, ogni volta che penso a te.

Poi mi dico che a te non ci dovrei più pensare, perché c’è almeno una manciata di persone che (forse) mi vuole bene e (forse) mi ama per quella che sono e io dovrei essere felice così e in parte lo sono. Il “forse” l’ho sottolineato solo per abitudine, perché dubitare è il mio mestiere e perché i casi della vita mi hanno insegnato che i sentimenti umani sono volubili e spesso durano poco (soprattutto quelli che gli altri provano nei miei confronti, chi sa perché). Ci sono infatti anche quelle persone che dalla mia vita si sono allontanate e hanno lasciato un solco profondo chilometri, che i sopracitati individui che mi vogliono bene ecc. hanno prontamente riempito con tanto amore e tanta fatica, e adesso lì c’è un grande bosco, di quelli che piacciono a me: fitti e scuri, dove c’è la nebbia tutto l’anno e quando ero bambina incontravo le fate, i folletti e se ero fortunata anche qualche unicorno. Al posto del solco adesso c’è una piccola fossa dove non scorre acqua e gli animali non ci vivono, ma, come insegnano il libro di geologia e la prof che mi manca tanto, se i margini sono convergenti e le zolle continentali, la fossa prima o poi scomparirà, devo solo aspettare qualche decina di milione di anni.

A te questa storia non l’ho mai raccontata, forse solo accennata. Non abbiamo avuto il tempo di dirci troppe cose e siamo stati troppo impegnati a far finta di non esserci mai conosciuti, che secondo Bob Dylan è l’unico modo per dimenticare una persona. Con me non ha funzionato. Quando incontrerò Bob mi ricorderò di farglielo presente. Forse invece di Bob incontrerò te, magari tra 10 anni, o anche solo 5, così non mi sentirò troppo vecchia, e allora ti racconterò questa storia e tante altre e ti chiederò se anche a te sia capitato, che tanto lo so che ti è capitato, perché lo capisco dallo sguardo e da quel poco che mi hai detto di te. E allora, dopo un momento di imbarazzo, ti chiederò come va il lavoro, la famiglia, il mutuo e se lo sapevi che io di te ero innamorata, perché secondo me lo sapevi, ma non risponderai e scoppieremo a ridere tutti e due, che tanto oramai siamo infelicemente sposati con persone meravigliose che non ci meritano e abbiamo figli per un totale di cinque: tre io e due tu, o due io e tre tu, o quattro io e uno tu o viceversa, non importa. Poi ci saluteremo con una stretta di mano e un “sentiamoci qualche volta”, a cui nessuno dei due crede veramente e io me ne andrò sorridendo, forse un po’ amareggiata, forse felice, forse indifferente e mi domanderò se il colore dei miei occhi te lo ricordi ancora o se l’hai dimenticato o se lo ricordavi diverso, che quando avevo 18 anni e guardavo te si illuminavano e splendevano anche di notte, anche quando eri ubriaco.
Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare.

(Alda Merini, da "Clinica dell'abbandono")

sabato 7 agosto 2010

guardando i muratori che camminano sui tetti per ancora i nostri imbarazzanti progetti con i pianeti che ci precipitano in cucina e ci disfano i letti,
i letti matrimoniali in cui dormiamo da soli come cani investiti,
come i bambini mangiati dai democristiani

martedì 3 agosto 2010

I semafori gialli lampeggiano
E' il mio cuore che scandisce il tempo
Le vene si spezzano dentro ai polsi
E tutto il male del mondo mi scivola addosso
Mi vesto a festa
Scelgo l'abito più brutto
E una voce dal telegiornale mi urla contro
Se chiudo gli occhi non ti sento
Se chiudo gli occhi non ti sento

Il tuo profumo non riesco a sentirlo
Io con te volevo viverci
Una casa in campagna e un laghetto con i pesci rossi
Noi due sporchi di vernice
D'inverno il camino
Ma tu dove sei?
La tua voce non me la ricordo più

lunedì 2 agosto 2010


Il distacco è sempre doloroso, ma a lungo andare può dare soddisfazioni, può addirittura portare alla felicità.

Perdere una persona a cui si voleva bene significa perdere anche una parte di sé, è come un intervento a vivo, durante il quale ti staccano un pezzo di cuore e poi tu lo vedi per terra, abbandonato e calpestato da tutti.

Superato il dolore, però, ti senti subito più leggero senza quella parte malata di te. Il tutto si cicatrizza e senti solo una leggera fitta, come una puntura, quando cambia il tempo.

Così è successo a me la prima volta mesi fa, senza una ragione, senza un perché. Così sta succedendo di nuovo. E io non capisco per quale motivo dovrei sforzarmi per fermare il naturale corso degli eventi.

Noi siamo come piccoli oggetti fluttuanti sulla superficie del mare, che le onde prima fanno avvicinare e poi allontanano casualmente. Alcuni tentano di nuotare controcorrente, altri si lasciano trasportare dal dolce dondolio delle onde. Io ho smesso di lottare. Mi sento troppo piccola, troppo debole per sfidare la grande distesa d’acqua.

Così mi lascio naufragare, nella speranza che le onde mi portino su di un’isola deserta, sulla quale essere felice per sempre.

Talvolta ci accorgiamo che allontanandoci da una persona, per quanto possiamo averle voluto bene, la qualità della nostra vita migliora. Forse perché certi rapporti con il tempo diventano talmente stretti, talmente esclusivi che l’abitudine cancella ai nostri occhi i difetti dell’altro, e noi iniziamo a considerare normali quei comportamenti che, in altri casi, non avremmo sopportato.

In questi casi il distacco diventa come una liberazione, raggiunta tramite un processo di catarsi, durante il quale noi ci purifichiamo, eliminando dalle nostre vite tutto ciò che fa male: recidiamo questi rapporti ormai deteriori, come fossero piccole appendici dolorose, delle quali bisogna sbarazzarsi al più presto per ricominciare a vivere serenamente.

Dedicato a S.
Sopravviverò anche a questa. Del resto, nella mia vita, sono state più numerose le sconfitte subite delle vittorie conquistate. Una delusione in più non cambierà nulla, servirà solo a rendere più umida la federa del mio cuscino.

E’ troppo bella, troppo intelligente perché io possa competere con lei. Ha con sé la freschezza della gioventù. Io ho la gioventù dalla mia, ma non la freschezza, troppi anni di solitudine mi hanno indurita e resa come un pezzo di legno troppo vecchio per cedere al lavoro della pialla.

Ogni volta in cui ho desiderato qualcosa con tutta me stessa, è arrivato qualcuno di più bello e intelligente di me a portarmelo via, mentre io, impotente, non sono stata capace di far nulla.

Se credessi nel Destino direi che si stia prendendo gioco di me. Purtroppo non posso neanche togliermi questa soddisfazione.

Così me ne resto immobile ad osservarti mentre ti allontani da me e diventi sempre più piccolo, fino a trasformarti in un puntino.

E’ strano pensare a come un puntino così piccolo possa aver lasciato un vuoto così grande nella mia vita.

Vorrei poter gioire della tua felicità, ma non sono in grado di farlo, forse perché sono davvero una pessima persona, ma la sola idea che tu possa amare qualcuno che non sia io mi distrugge, così come la sensazione di sentirti scivolare via, lontano da me. Vorrei afferrarti la mano e dirti: -Non ti lascerò cadere, non perderò anche te-, invece non farò nulla, come tutte le altre volte.

Guarderò lei, con l’invidia che nei miei occhi si farà spazio tra le lacrime, la guarderò danzare, tenendo stretta a sé tutto ciò che io non ho e non avrò mai: la bellezza, l’intelligenza e la cosa più importante: tu.

Mi sono illusa che tu potessi innamorarti di me, ci ho sperato, ho pregato, senza domandarmi per quale motivo tu avresti dovuto amarmi, amare me che non ho nulla oltre alla mia giovinezza sprecata, che sta appassendo troppo in fretta.

venerdì 16 luglio 2010


Sono una persona abitudinaria, lo sono sempre stata, lo sono da quando, a due anni, mi rifiutai di far pipì per un giorno intero solo perché i miei genitori mi avevano comprato un vasino nuovo. Da allora non sono più stata in grado di trattenere la pipì per troppo tempo e ho iniziato ad odiare tutto ciò che porti cambiamenti repentini nella mia vita.

Così ho odiato il primo giorno d’asilo, tutte le case in cui ho vissuto, i cambi di stagione, il digitale terrestre.

Ho odiato tutte le persone che sono, nel tempo, uscite dalla mia vita. Ancora di più ho odiato quelle che abbiano preteso di entrarvi.

Per questo dovrei odiare anche te, che con la forza hai sfondato le mie barriere, senza che io potessi opporre resistenza e sei entrato a far parte della mia esistenza.

Dovrei odiare ogni parola che tu mi abbia mai rivolto, dovrei odiare quel tuo modo di toccarti i capelli mentre parli, dovrei odiare il tuo odore di fumo e di biscotti, e, ancora di più, dovrei odiare quei sorrisi che ogni tanto mi regali.

Io dei sentimenti non ho mai capito niente, ho passato la mia vita in un angolo, ad osservare gli altri innamorarsi, promettendo a me stessa di non diventare mai come loro, ma sperando, sotto sotto, il contrario.

“Adesso tocca a me”, ogni tanto mi ripeto, senza rendermi conto che tu di tutto questo non hai capito niente, perché quello che per me è tutto, per te è nulla. Perché nelle tue parole ho sempre cercato quello che io volevo sentire, non quello che tu realmente intendevi dire. In tutto questo tempo ho visto in te il riflesso dei miei sentimenti, illudendomi che potesse essere, o almeno diventare un giorno, reale.

Per questo dovrei odiarti, perché ora condivido con te la vita che un tempo era solamente mia. E tu neanche lo sai. Non puoi nemmeno immaginare di star vivendo, oltre alla tua vita, anche la mia.

La verità è che sto cercando di dimenticarti, ma ho ancora la tua voce che mi scorre nelle vene e quando arriva al cuore inizia a far male. E’ un dolore che non si può spiegare a parole, uno di quelli che ti prendono alla bocca dello stomaco e ti stracciano l’anima.

Per questo vorrei che fosse già settembre, perché settembre porta via tutto: il caldo dell’estate, l’odore della crema solare dalla pelle delle persone, le cose belle e quelle brutte. Arriva repentino, come un colpo in testa che ti fa perdere la memoria. Settembre porterà via anche te.

Adesso però è estate, la stagione delle lunghe code in autostrada verso il mare, dei gelati al pomeriggio in centro, degli amori che passano in fretta e si dimenticano facilmente. Io il mare l’ho sempre odiato, il gelato non lo posso mangiare senza sentirmi in colpa per i miei chili di troppo ed innamorarmi è impossibile perché tu occupi già tutto lo spazio a disposizione nel mio cuore.

Mentre aspetto l’autunno osservo il mondo e sento i rapporti umani, i sentimenti e le emozioni che mi scivolano addosso, è quasi come se fossi anestetizzata. La mia è una condizione privilegiata: da questo piedistallo fatto dai detriti della mia vita si fanno studi sociologici interessanti. La sensazione è un po’come quella che provava Gianni Togni quando guardava il mondo da un oblò e si annoiava un po’. Io però non ho neanche più la forza di annoiarmi.

Allora resto qui seduta ad attendere che il tempo mi aiuti a dimenticare, mentre tu non fai niente per aiutarmi a cancellarti dalla mia vita, mi tieni incatenata a te, le mie emozioni sono legate alle tue da lacci invisibili che solo io posso percepire e la cui stretta diventa sempre più dolorosa.

Ci sono giorni in cui mi sforzo talmente tanto a cercare di odiarti, che quasi riesco a ricordami come fosse la mia vita prima che arrivassi tu, ma proprio mentre gli eventi iniziano a riprendere il proprio normale corso, tu ritorni e tutto appare ancora più meraviglioso di prima, mi sembra di vivere un sogno, che presto riassumerà le sembianze di uno spaventoso incubo, di un mostro, che mi aspetta sotto il letto, mentre soffoco i miei pianti nel cuscino, pronto ogni notte a divorarmi il cuore.

Più passa il tempo, più io ti sento lontano da me, mentre tutto ciò che desidero è averti qui accanto, ma tu mi scivoli via tra le dita, come la sabbia quando ero bambina, e al tuo posto resta un vuoto, un vuoto nel quale vorrei sprofondare, solo per poter sentire ancora una volta il profumo della tua pelle.

Tutto ciò che ho scritto tu non lo leggerai mai, o forse lo farai, senza renderti conto di essere tu il protagonista, scorrerai le parole distrattamente, poi passerai avanti, ad un’altra pagina, che troverai più divertente ed interessante, che non parlerà di te, che racconterà storie di persone lontane, diverse da noi, che inspiegabilmente vedrai così vicine e simili a te, non accorgendoti che, forse, tu il tuo angolo di felicità potresti averlo appena abbandonato, tra le righe di una pagina web letta troppo distrattamente.
Oggi ho passato gran parte del mio tempo a pensare. Ho pensato come non facevo da anni. Ho pensato come non facevo da quando ho iniziato a studiare filosofia. Oggi, insomma, ho guardato per la prima volta il mondo da un altro punto di vista: quello delle formiche.

Ero in montagna, sdraiata su di un prato che cercavo di prender sonno, quando ho iniziato ad osservare i piccoli esserini che si muovevano lungo i fili d’erba.

-Ma le formiche si conoscono- mi sono domandata, -o le loro vite si incrociano per pochi istanti, lungo la marcia verso il nulla, e dopo poco si dimenticano le une delle altre come perfette sconosciute?-

Credo che alle formiche capiti più o meno quello che succede a tutti noi mentre camminiamo per le strade: scorriamo veloci, gli uni di fianco agli altri, senza prestarci attenzione, casualmente.

“Casualmente” è la parola che riassume il tutto: non c’è un motivo preciso per cui la formica A, camminando, abbia deciso di prendere una determinata direzione e abbia incrociato la formica B, invece della formica C. Così come non c’è un motivo preciso per cui io quella sera, in quel locale, tra mille persone, abbia incontrato proprio il tuo sguardo e non quello di qualcun altro e mi sia rovinata la vita.

Il microcosmo delle formiche rappresenta, in piccolo, le nostre vite. Se per loro non esiste alcun destino o piano provvidenziale, perché esso dovrebbe esserci per noi? Tutto è determinato dal caso: la loro esistenza, così come la nostra. Gli uomini non sono molto diversi dalle formiche, che casualmente si incontrano lungo un cammino che non porta a nulla. Ci osserviamo, ci scrutiamo attentamente, convinti che tutto ciò abbia un senso, senza renderci mai conto di non essere altro che grandi, totalmente inutili formiche.