venerdì 16 luglio 2010

Oggi ho passato gran parte del mio tempo a pensare. Ho pensato come non facevo da anni. Ho pensato come non facevo da quando ho iniziato a studiare filosofia. Oggi, insomma, ho guardato per la prima volta il mondo da un altro punto di vista: quello delle formiche.

Ero in montagna, sdraiata su di un prato che cercavo di prender sonno, quando ho iniziato ad osservare i piccoli esserini che si muovevano lungo i fili d’erba.

-Ma le formiche si conoscono- mi sono domandata, -o le loro vite si incrociano per pochi istanti, lungo la marcia verso il nulla, e dopo poco si dimenticano le une delle altre come perfette sconosciute?-

Credo che alle formiche capiti più o meno quello che succede a tutti noi mentre camminiamo per le strade: scorriamo veloci, gli uni di fianco agli altri, senza prestarci attenzione, casualmente.

“Casualmente” è la parola che riassume il tutto: non c’è un motivo preciso per cui la formica A, camminando, abbia deciso di prendere una determinata direzione e abbia incrociato la formica B, invece della formica C. Così come non c’è un motivo preciso per cui io quella sera, in quel locale, tra mille persone, abbia incontrato proprio il tuo sguardo e non quello di qualcun altro e mi sia rovinata la vita.

Il microcosmo delle formiche rappresenta, in piccolo, le nostre vite. Se per loro non esiste alcun destino o piano provvidenziale, perché esso dovrebbe esserci per noi? Tutto è determinato dal caso: la loro esistenza, così come la nostra. Gli uomini non sono molto diversi dalle formiche, che casualmente si incontrano lungo un cammino che non porta a nulla. Ci osserviamo, ci scrutiamo attentamente, convinti che tutto ciò abbia un senso, senza renderci mai conto di non essere altro che grandi, totalmente inutili formiche.

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