martedì 31 gennaio 2012


Quando la tua psicologa ti tiene due ore in seduta e, alla fine, si rifiuta di farti pagare, vuol dire che qualcosa sta andando davvero storto (o che le stai particolarmente simpatica, ma tendo ad escluderlo).
Tirando le somme della mia vita, non riesco a stabilire se siano più gli elementi positivi o quelli negativi, dal momento che ciò che è positivo, talvolta, si trasforma in negativo e viceversa.
SINDROMEANSIOSODEPRESSIVA. Che poi siamo tutti un po’ ansiosi e depressi, quindi no, non sono una persona speciale.
È un po’ come l’essere borderline. Siamo una generazione di borderline perché è figo definirsi tali, perché non sappiamo cosa fare delle nostre vite, perché il “dolore” ci fa apparire più interessanti, perché abbiamo visto “Ragazze interrotte”. Insomma, se non hai almeno un disturbo della personalità sei assolutamente out.
Spero con tutto il cuore, per le nuove generazioni, che torni di moda essere felici.
Intanto sono seduta sul letto, con le gambe sotto il piumone e non so bene se tornare a studiare, mettermi a dormire o andare avanti a scrivere.
Fuori continua a nevicare (e parecchio anche) e, fissare la finestra, mi ha fatto pensare che potrei scrivere una lista delle cose belle che mi sono successe da una settimana a questa parte, un po’ in stile “I racconti del cuscino”.
- fumare una sigaretta di notte, sul balcone, mentre tutti dormono e la neve cade
- rivedere “Il laureato”
- ritrovare le scarpette da danza di quando ero piccola
- fare l’amore
- ricevere l’ultimo regalo di natale
- le vertebre e le ossa del bacino che spuntano
- festeggiare il compleanno di mia madre
- i dolci di pasta di mandorle
- passare ore, in due, sotto le coperte
- mia madre che mi compra i mirtilli
FINEDELLALISTA
Per tutto ciò che vale davvero.
P.s.
Oggi mi hanno detto che sono bella, non ci credo molto, ma mi sforzerò di farlo perché fa bene al cuore.

lunedì 23 gennaio 2012

Cicli vitali


Passare le giornate cercando di scrivere qualcosa= non studiare.
L’ispirazione che arriva, improvvisa, appena tocco il letto= non dormire.
Dormire mezza giornata= non studiare.
Cercare di studiare la notte= non dormire.
È una sorta di circolo vizioso dal quale non si esce più. Ci son dentro da una vita e ormai ci ho fatto l’abitudine.
Mia mamma dice che ho uno stile di vita assolutamente sregolato e il mio medico sostiene che ciò sia la causa dei miei continui mal di testa. Come se non dormire fosse una mia scelta.
Sono così fin da bambina, quando ancora abitavo in provincia e dormivo nel lettone con i miei. Loro si addormentavano e io restavo fino al mattino a giocare in mezzo al letto.
Era così alle elementari, quando piangevo come una disperata perché ero obbligata ad andare a dormire alle 21,30, sapendo che avrei dovuto passare parecchie ore con gli occhi spalancati, a fissare il soffitto.
Alle medie si sono arresi tutti quanti e gli orari sono stati aboliti, così passavo le nottate a guardare la televisione. Una notte, su rai tre passarono “il valzer del pesce freccia-arizona dream” e fu così che conobbi Kusturica, scusate se è poco.
Alle superiori mi trasferii e decisi di non volere più la televisione in camera. Questa scelta purtroppo non mi aiutò. Ricordo le innumerevoli notti passate senza riuscire a chiudere occhio, con l’ansia di un’interrogazione o, semplicemente, mille pensieri casuali per la testa.
L’università, poi, ha completamente cancellato ogni sorta di regolarità che ci fosse nella mia vita.
Avrò avuto sei anni quando, al termine della lezione di danza classica, una bambina poco più grande di me mi si avvicinò
-sei malata?-
-no, perché?-
-perché hai le occhiaie, io le ho solo quando sono malata-
Ecco, non è che sia propriamente piacevole sembrare, ogni singolo giorno della tua vita, un personaggio appena uscito da un film di Tim Burton, ma impari a convivere anche con quello.
P.s.
Quello che ho scritto non ha un significato vero e proprio, ma ho pensato che, tra le due o tre cose da sapere su di me, ci fosse anche questo.

Una giornata passata tra banche, poste e uffici comunali ti fa capire che, forse, sei cresciuta davvero. Ti fa capire anche quanto crescere faccia schifo. Così la noia prende il sopravento.
Poi ci sono i regali di compleanno. Quando ero piccola, tutti gli anni, regalavo a mia madre, per il suo compleanno, uno di quegli anellini che si comperavano per 500 lire nei distributori davanti alle tabaccherie. Quelli nelle palline di plastica. E lei era felice, o almeno a me sembrava. Adesso per farle un regalo mi ritrovo a girare mezza città e, alla fine, ho sempre l’impressione che non sia soddisfatta.
Intanto io, da tre settimane a questa parte, passo le mie serate a casa, senza concludere niente, con il pretesto di studiare. Forse avrei potuto approfittarne per approfondire il rapporto con me stessa, ma ci ho rinunciato, che, alla fine, non c’è niente da riscoprire o rivalutare nella mia persona.
Mi sento un po’ come Jack Whitman, chiuso in una stanza dell’hotel Chevalier, alla ricerca dell’ispirazione per un nuovo libro. Io però non sono a Parigi e nessuno mi porta il Camembert alla piastra in camera ed è piuttosto triste come cosa.
Che poi mi mancano un sacco di persone e vorrei uscire e incontrarle tutte, ma qualcosa mi tiene ancorata in casa. Forse è la mia incapacità di recuperare i rapporti, perché aspetto sempre che siano gli altri a fare il primo passo verso di me e ho sempre paura che gli altri possano essere stanchi di me e di queste mie improvvise sparizioni, solo che quando sento qualcosa di marcio dentro, mi viene difficile rapportarmi con il mondo, quindi non lo faccio proprio, non ci provo neanche.
Il fatto è che non ci provo mai.