lunedì 23 gennaio 2012


Una giornata passata tra banche, poste e uffici comunali ti fa capire che, forse, sei cresciuta davvero. Ti fa capire anche quanto crescere faccia schifo. Così la noia prende il sopravento.
Poi ci sono i regali di compleanno. Quando ero piccola, tutti gli anni, regalavo a mia madre, per il suo compleanno, uno di quegli anellini che si comperavano per 500 lire nei distributori davanti alle tabaccherie. Quelli nelle palline di plastica. E lei era felice, o almeno a me sembrava. Adesso per farle un regalo mi ritrovo a girare mezza città e, alla fine, ho sempre l’impressione che non sia soddisfatta.
Intanto io, da tre settimane a questa parte, passo le mie serate a casa, senza concludere niente, con il pretesto di studiare. Forse avrei potuto approfittarne per approfondire il rapporto con me stessa, ma ci ho rinunciato, che, alla fine, non c’è niente da riscoprire o rivalutare nella mia persona.
Mi sento un po’ come Jack Whitman, chiuso in una stanza dell’hotel Chevalier, alla ricerca dell’ispirazione per un nuovo libro. Io però non sono a Parigi e nessuno mi porta il Camembert alla piastra in camera ed è piuttosto triste come cosa.
Che poi mi mancano un sacco di persone e vorrei uscire e incontrarle tutte, ma qualcosa mi tiene ancorata in casa. Forse è la mia incapacità di recuperare i rapporti, perché aspetto sempre che siano gli altri a fare il primo passo verso di me e ho sempre paura che gli altri possano essere stanchi di me e di queste mie improvvise sparizioni, solo che quando sento qualcosa di marcio dentro, mi viene difficile rapportarmi con il mondo, quindi non lo faccio proprio, non ci provo neanche.
Il fatto è che non ci provo mai.  

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