mercoledì 24 novembre 2010

Sono poesie atomiche
Queste nostre promesse ermetiche
Che ci scambiamo come spiccioli
Io e te su letti di polvere.
Invento i giorni come musiche,
Come nuvole. Scrivo i passi nella sabbia.
I pensieri nella noia
Come squali che nuotano in cielo
Li lascio affogare.
Posso proteggerti dai miei sogni?
Dalle speranze che fanno male
Dai desideri che stracciano il cuore.
Siamo carne io e te
I sentimenti lasciamoli ai cani
Che si inseguono più di noi.

lunedì 22 novembre 2010

Forse dovrei imparare a dimenticarmi di te, che tanto di me non ti ricordi già più. Così forse un giorno ci ritroveremo su una spiaggia d’inverno, come Joel e Clementine. E allora chi sa che bello sarà.

martedì 16 novembre 2010


Corro sui fili dell’alta tensione
Come un gabbiano stanco,
E’ da te che scappo.
Anche le lacrime pesanti si smarriranno,
Non troveranno più la strada.
E l’aria soffocante di questa città morirà con te
Morirà nelle mie vene.
Il respiro si perderà nella pioggia,
Tra i miei ricordi, tra le parole e le frasi mai dette,
Quelle lasciate a metà
Come i libri che non leggerò mai
Come le poesie che ti dedico tutti i giorni.
Siamo caduti a terra io e te
Come vetri rotti, ci siamo confusi
Ci siamo incontrati e mischiati
E’ stato un attimo
E’ stata una vita,
Che adesso prosegue
Spezzata e mutilata
Per cento anni e forse più
Senza te
Senza noi.

domenica 7 novembre 2010

Poesie in prosa: ovvero pensieri a caso e deliri notturni, ovvero la mia vita in 944 parole.


Possiamo passare le nostre giornate a fissare palchi vuoti, senza sfiorarci mai le mani, senza toccarci mai i cuori, che tanto siamo come due sconosciuti che non hanno niente da dirsi, ma tutto da perdere.

E io ormai la televisione la guardo solo per cercare qualcuno che ti somigli, anche se oggi i tg parlano solo di omicidi, ma io non mi lamento, che tanto il mio è un po’ un suicidio e io nell’autodistruzione ci ho sempre creduto. Tu invece la televisione non la guardi proprio e non guardi neanche i miei occhi, anche se sai di che colore sono, me l’hai detto tu una volta e il colore degli occhi non cambia con i mesi, anche se la gente se lo dimentica.

Intanto è già novembre, che è tale uguale a luglio, quando speravo arrivasse settembre. Settembre che quest’anno è stato solo una farsa, un po’ come i 18 anni. Entrambi sono totalmente inutili e non ne sentirò la mancanza.

E poi c’è questa città che si chiama Novara e poi c’è ancora quell’altra città che si chiama Milano. Che poi sono diverse l’una dall’altra solo per il nome e poco altro, quasi come noi due. Io sono Novara, credo, tu Milano, perché tu il grigio che hai dentro lo nascondi meglio di me, che invece sono grigia anche fuori e per questo do nell’occhio anche quando non voglio. Solo per te sono invisibile, sarà perché mi mimetizzo con il tuo di grigio.

Chi sa se lei è grigia come noi, o è bianca, o è dorata e brilla anche di notte, anche quando sei ubriaco ed è per questo che l’hai notata? Magari d’oro è solo rivestita e poi si sfoglia e sotto è nera o persino marrone, che per analogia non è un bel colore.

Tu scegli pure il tuo colore di ragazza preferito, come i gusti del gelato, che intanto io decido se sto meglio adesso che ci sei, ma è come se non ci fossi o prima quando non c’eri proprio. E devo andare un attimo in bagno a piangere, che l’omino della ripetizione casuale che sta dentro il mio ipod mi odia, o forse sta solo cercando di dirmi qualcosa e ha scelto come prima traccia la tua canzone preferita. Tu però di’ a tutti che mi sto incipriando il naso, che tanto con le bugie ormai ci convivo e mia mamma mi crede affetta da congiuntivite cronica perché mi sveglio sempre con gli occhi gonfi e invece è solo colpa dei miei condotti lacrimali che son dotati di libero arbitrio e iniziano a far piovere lacrime che san di sale ogni volta che vogliono, ogni volta che penso a te.

Poi mi dico che a te non ci dovrei più pensare, perché c’è almeno una manciata di persone che (forse) mi vuole bene e (forse) mi ama per quella che sono e io dovrei essere felice così e in parte lo sono. Il “forse” l’ho sottolineato solo per abitudine, perché dubitare è il mio mestiere e perché i casi della vita mi hanno insegnato che i sentimenti umani sono volubili e spesso durano poco (soprattutto quelli che gli altri provano nei miei confronti, chi sa perché). Ci sono infatti anche quelle persone che dalla mia vita si sono allontanate e hanno lasciato un solco profondo chilometri, che i sopracitati individui che mi vogliono bene ecc. hanno prontamente riempito con tanto amore e tanta fatica, e adesso lì c’è un grande bosco, di quelli che piacciono a me: fitti e scuri, dove c’è la nebbia tutto l’anno e quando ero bambina incontravo le fate, i folletti e se ero fortunata anche qualche unicorno. Al posto del solco adesso c’è una piccola fossa dove non scorre acqua e gli animali non ci vivono, ma, come insegnano il libro di geologia e la prof che mi manca tanto, se i margini sono convergenti e le zolle continentali, la fossa prima o poi scomparirà, devo solo aspettare qualche decina di milione di anni.

A te questa storia non l’ho mai raccontata, forse solo accennata. Non abbiamo avuto il tempo di dirci troppe cose e siamo stati troppo impegnati a far finta di non esserci mai conosciuti, che secondo Bob Dylan è l’unico modo per dimenticare una persona. Con me non ha funzionato. Quando incontrerò Bob mi ricorderò di farglielo presente. Forse invece di Bob incontrerò te, magari tra 10 anni, o anche solo 5, così non mi sentirò troppo vecchia, e allora ti racconterò questa storia e tante altre e ti chiederò se anche a te sia capitato, che tanto lo so che ti è capitato, perché lo capisco dallo sguardo e da quel poco che mi hai detto di te. E allora, dopo un momento di imbarazzo, ti chiederò come va il lavoro, la famiglia, il mutuo e se lo sapevi che io di te ero innamorata, perché secondo me lo sapevi, ma non risponderai e scoppieremo a ridere tutti e due, che tanto oramai siamo infelicemente sposati con persone meravigliose che non ci meritano e abbiamo figli per un totale di cinque: tre io e due tu, o due io e tre tu, o quattro io e uno tu o viceversa, non importa. Poi ci saluteremo con una stretta di mano e un “sentiamoci qualche volta”, a cui nessuno dei due crede veramente e io me ne andrò sorridendo, forse un po’ amareggiata, forse felice, forse indifferente e mi domanderò se il colore dei miei occhi te lo ricordi ancora o se l’hai dimenticato o se lo ricordavi diverso, che quando avevo 18 anni e guardavo te si illuminavano e splendevano anche di notte, anche quando eri ubriaco.
Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare.

(Alda Merini, da "Clinica dell'abbandono")