domenica 7 novembre 2010

Poesie in prosa: ovvero pensieri a caso e deliri notturni, ovvero la mia vita in 944 parole.


Possiamo passare le nostre giornate a fissare palchi vuoti, senza sfiorarci mai le mani, senza toccarci mai i cuori, che tanto siamo come due sconosciuti che non hanno niente da dirsi, ma tutto da perdere.

E io ormai la televisione la guardo solo per cercare qualcuno che ti somigli, anche se oggi i tg parlano solo di omicidi, ma io non mi lamento, che tanto il mio è un po’ un suicidio e io nell’autodistruzione ci ho sempre creduto. Tu invece la televisione non la guardi proprio e non guardi neanche i miei occhi, anche se sai di che colore sono, me l’hai detto tu una volta e il colore degli occhi non cambia con i mesi, anche se la gente se lo dimentica.

Intanto è già novembre, che è tale uguale a luglio, quando speravo arrivasse settembre. Settembre che quest’anno è stato solo una farsa, un po’ come i 18 anni. Entrambi sono totalmente inutili e non ne sentirò la mancanza.

E poi c’è questa città che si chiama Novara e poi c’è ancora quell’altra città che si chiama Milano. Che poi sono diverse l’una dall’altra solo per il nome e poco altro, quasi come noi due. Io sono Novara, credo, tu Milano, perché tu il grigio che hai dentro lo nascondi meglio di me, che invece sono grigia anche fuori e per questo do nell’occhio anche quando non voglio. Solo per te sono invisibile, sarà perché mi mimetizzo con il tuo di grigio.

Chi sa se lei è grigia come noi, o è bianca, o è dorata e brilla anche di notte, anche quando sei ubriaco ed è per questo che l’hai notata? Magari d’oro è solo rivestita e poi si sfoglia e sotto è nera o persino marrone, che per analogia non è un bel colore.

Tu scegli pure il tuo colore di ragazza preferito, come i gusti del gelato, che intanto io decido se sto meglio adesso che ci sei, ma è come se non ci fossi o prima quando non c’eri proprio. E devo andare un attimo in bagno a piangere, che l’omino della ripetizione casuale che sta dentro il mio ipod mi odia, o forse sta solo cercando di dirmi qualcosa e ha scelto come prima traccia la tua canzone preferita. Tu però di’ a tutti che mi sto incipriando il naso, che tanto con le bugie ormai ci convivo e mia mamma mi crede affetta da congiuntivite cronica perché mi sveglio sempre con gli occhi gonfi e invece è solo colpa dei miei condotti lacrimali che son dotati di libero arbitrio e iniziano a far piovere lacrime che san di sale ogni volta che vogliono, ogni volta che penso a te.

Poi mi dico che a te non ci dovrei più pensare, perché c’è almeno una manciata di persone che (forse) mi vuole bene e (forse) mi ama per quella che sono e io dovrei essere felice così e in parte lo sono. Il “forse” l’ho sottolineato solo per abitudine, perché dubitare è il mio mestiere e perché i casi della vita mi hanno insegnato che i sentimenti umani sono volubili e spesso durano poco (soprattutto quelli che gli altri provano nei miei confronti, chi sa perché). Ci sono infatti anche quelle persone che dalla mia vita si sono allontanate e hanno lasciato un solco profondo chilometri, che i sopracitati individui che mi vogliono bene ecc. hanno prontamente riempito con tanto amore e tanta fatica, e adesso lì c’è un grande bosco, di quelli che piacciono a me: fitti e scuri, dove c’è la nebbia tutto l’anno e quando ero bambina incontravo le fate, i folletti e se ero fortunata anche qualche unicorno. Al posto del solco adesso c’è una piccola fossa dove non scorre acqua e gli animali non ci vivono, ma, come insegnano il libro di geologia e la prof che mi manca tanto, se i margini sono convergenti e le zolle continentali, la fossa prima o poi scomparirà, devo solo aspettare qualche decina di milione di anni.

A te questa storia non l’ho mai raccontata, forse solo accennata. Non abbiamo avuto il tempo di dirci troppe cose e siamo stati troppo impegnati a far finta di non esserci mai conosciuti, che secondo Bob Dylan è l’unico modo per dimenticare una persona. Con me non ha funzionato. Quando incontrerò Bob mi ricorderò di farglielo presente. Forse invece di Bob incontrerò te, magari tra 10 anni, o anche solo 5, così non mi sentirò troppo vecchia, e allora ti racconterò questa storia e tante altre e ti chiederò se anche a te sia capitato, che tanto lo so che ti è capitato, perché lo capisco dallo sguardo e da quel poco che mi hai detto di te. E allora, dopo un momento di imbarazzo, ti chiederò come va il lavoro, la famiglia, il mutuo e se lo sapevi che io di te ero innamorata, perché secondo me lo sapevi, ma non risponderai e scoppieremo a ridere tutti e due, che tanto oramai siamo infelicemente sposati con persone meravigliose che non ci meritano e abbiamo figli per un totale di cinque: tre io e due tu, o due io e tre tu, o quattro io e uno tu o viceversa, non importa. Poi ci saluteremo con una stretta di mano e un “sentiamoci qualche volta”, a cui nessuno dei due crede veramente e io me ne andrò sorridendo, forse un po’ amareggiata, forse felice, forse indifferente e mi domanderò se il colore dei miei occhi te lo ricordi ancora o se l’hai dimenticato o se lo ricordavi diverso, che quando avevo 18 anni e guardavo te si illuminavano e splendevano anche di notte, anche quando eri ubriaco.

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