Dicono che
fuori faccia freddo, che sia arrivato l’inverno. Io ci credo, immagino il gelo
sulla pelle, le labbra tagliate, il viso screpolato. Due giorni che non esco di
casa e sembra una vita intera. Ansia, pianti, mal di stomaco, nausea. Tutto
passa. Tutto. Passa. Passa in un attimo, con il sorriso inaspettato di uno
sconosciuto, con una parola gentile, con un messaggio da incidere nel cuore,
che tanto siamo la generazione degli sms e non ci posso far nulla.
E io intanto
disegno, disegno ed era troppo tempo che non prendevo in mano un matita. Disegno
me stessa in mille modi, che ognuno a modo suo è un po’ egocentrico-narcisista
e io una Reflex non ce l’ho. Allora disegno. E ogni tanto mi piace anche quello
che esce fuori, sempre perché sono un’egocentrica-narcisista.
Oggi non ho
paralato con nessuno. Ho comunicato, che è diverso, ma non ho sentito la voce
di nessuno, al di fuori di mia madre e della tizia del reparto di chirurgia
vascolare che mi ha chiamata per sapere se mio zio si ricordasse che domani
alle 8 deve presentarsi in ospedale. Mi domando perché non abbia telefonato a
lui.
Mio zio in
questo caso è il fratello di mia nonna. Si chiama S. e vive nel paese in cui
sono cresciuta, a pochi chilometri da Novara, ma quasi mi sembra di non
conoscerlo. E’ una sensazione che provo nei confronti di tutta (o quasi) la mia
famiglia. Ci telefoniamo una volta al mese, ci facciamo gli auguri di Natale,
ci dimentichiamo dei rispettivi compleanni, fingiamo di volerci bene, punto.
Punto.
Tutto ciò mi
ha sempre messo tristezza, fin da quando ero bambina e la mia famiglia mi
sembrava così diversa dalle famiglie dei film, quelli che fanno a Natale, dove
tutti sono bellissimi e felici. Io mi sento un po’ come Colin Firth in Love
Actually (dio, quanto l’ho amato quel film), che passa il Natale in famiglia
solo per abitudine, per tradizione o per convenzione, chiamatela come volete,
con i nipotini che appena lo vedono dicono: “Io lo odio lo zio Jamie”, e poi
decide di partire e di mandare tutti a quel paese. Ecco, io mi sento un po’
come lo zio Jamie, non perché parta mandando tutti a quel paese (anche se a
volte vorrei tanto poterlo fare), neanche perché tutti mi odino (o almeno
spero), semplicemente perché mi sento inutile, superflua, non partecipo alla
gioia comune, non interagisco durante i discorsi degli “adulti” perché mi sento
ancora bambina e quindi non autorizzata a prender parte alle discussioni serie
dei grandi.
Ma al Natale
manca ancora più di un mese, quindi lasciamolo da parte, anche se io non riesco
a ricordare cosa avessi intenzione di raccontare quando ho iniziato a scrivere.
Che poi a dire il vero non c’è mai nulla di preciso che io voglia raccontare,
tutto nasce da singole frasi e poi, il resto, si articola, prende vita intorno
ad esse. Ma io sono caotica in tutto e non posso farci nulla.
Forse è perché
io, il caos che domina l’esistenza, lo avverto costantemente e ne divento parte
in ogni istante, con ogni atomo del mio corpo, con la confusione di ogni mio
pensiero. Sarà così.
E ho in
mente una frase bellissima, ma la terrò da parte per la prossima volta, la
renderò perfetta, le ricamerò intorno parole appropriate e darò vita a qualcosa
che ancora non conosco.
Intanto ci
sarà il mare.
Intanto c’è
L.
Intanto ci
sono tutti gli altri.
Intanto ci
sono io.
Con le mani
nei capelli.
Con le
nuvole negli occhi.
Ciao!
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